Gianfranco Tartaglino:”Così ho vinto la mia sfida con il deserto”

18 febbraio 2014 | 07:19
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Gianfranco Tartaglino:”Così ho vinto la mia sfida con il deserto”

Non è facile capire come si possa avere il coraggio di affrontare una sfida con sè stessi di tale portata, per il fisico, ma soprattutto per la testa. Però si può fare, come ce l’ha fatta Gianfranco Tartaglino, avvocato sandamianese che da anni si “diletta” in avventure sempre più ardue.

A mente fredda, a distanza di due settimane dalla conclusione della sua avventura nel deserto dell’Oman, ripercorre le tappe della sua decisione e della sua gara.

“Le risposte si trovano solo cercandole – esordisce Gianfranco per farci comprendere come si possa affrontare una sfida del genere – Qui non potevo affidarmi altrove, ai racconti e alle esperienze di chi le aveva nel proprio vissuto: con gli anni ho cominciato a capire, ma ogni volta nulla è scontato, per questo non posso dire di aver imparato, che il relativo è ovunque, anche nelle situazioni del quotidiano e che l’io di ognuno di noi è una cassaforte che non contiene nulla di simile agli altri”.

Solo con questo spirito e la consapevolezza di volersi mettere alla prova, anche un po’ incoscientemente, si può affrontare una 300 km nel deserto come la Transomania…

“Sono testardo…un’ariete, (di segno e di fatto, ndr) E’ stato l’istinto a fugare ogni minimo dubbio, proittandomi su quel paese cercato sulla carta geografica”.

Ma come si fa a preparare una gara del genere? Gianfranco ha avuto due mesi e mezzo per “affrontare quell’indefinito”.

“Mi sono preparato atleticamente, per quanto sia possibile allenare una gara tanto esagerata – ci spiega – e mi convinco da subito che l’addestramento sarebbe dovuto essere soprattutto mentale, per mantenere il più possibile durante la corsa ciò che era fondamentale non perdere: la testa. Un po’ di tenuta fisica e il “cuore” con tutta la sua passione potevano permettere di arrivare all’obiettivo: terminare”.

Per descrivere le emozioni della prima parte della sua avventura di Oman, Tartaglino ha preso “in prestito” le parole dell’amica podista Luisa Balsamo, con cui ha condiviso i primi 130 km: “Il deserto – Wahiba Sands – mi ha veramente preso l’anima sin dal primo minuto anche quando affrontavo la prima parte di gara partiti dalla White Beach diretti verso le cime sino al Wadi Bani Khalid salendo su per le aspre montagne sotto un meraviglioso cielo stellato. E’ stato lì, la prima notte , che la mia magia ha avuto inizio. L’immagine della luna calante, luminosissima e rossa con accanto una spettacolare Venere che risplendeva in maniera esagerata mi ha fatto perdere la testa”.

I primi 64 km, tra tanti sali e pochissimi scendi, hanno portato dal livello del mare a quota 2080 mt: “Roccia ovunque – racconta Gianfranco – montagne brulle, con mille sfumature di marrone che hanno un fascino unico quando si colorano dell’alba e il nero puntato di bianco del cielo lascia spazio al blu più blu che abbia mai visto. Il cuore si riempie ad ogni passo e tutto è leggero (ma ancora per poco).

Dalla pista sterrata e a tratti sabbiosa si passa ad un sentiero parecchio pietroso che ci conduce alla vista della valle, 1500 mt più sotto. Un’eternità per arrivare
là in basso: Luisa, Roberto, un francese, un singaporiano e il sottoscritto ci sparpagliamo alla ricerca delle “balise” e delle tracce che si confondono in mezzo ad un mare di pietre di granito.
Usciamo da quel labirinto (così lo aveva qualificato l’organizzazione) e raggiungiamo le piscine naturali del Wadi Bani Khalid: tutto lì è mozzafiato, l’acqua verde e trasparente, le palme, i colori…Lì è il CP 5, 82°km….Un tuffo, una sosta di un’ora e poco più e si riparte”.

Uno scenario da sogno, ma i chilometri percorsi, dopo 24 ore, sono già 115. Nonostante l’umore sia buono, la notte trasforma in negativo le emozioni, lasciando spazio allo sconforto e alla tensione per quello che deve ancora arrivare. Alla ripartenza i chilometri lievitano ulteriormente, da 21 a 42, per mancate segnalazioni.

“Alle 8 riparto da solo dopo essermi riposato al campo. Inizia il Wahiba Sands…qui non c’è ombra di dubbio che è deserto come da copione: dune, sabbia, cammelli, scarabei, serpenti (di cui ho visto le impronte), scorpioni (uno verde acqua non mi è sfuggito).

Da qui al mare restano 150 km circa: che maledico e contemporaneamente mi godo per il bene interiore che mi fanno sentire. Sabbia solo sabbia, ma non c’è noia a vederla, a calcarla. Le ore del giorno, dall’alba al tramonto passando per il “fuoco” del mezzogiorno (43 gradi, dicono dall’organizzazione) danno al deserto mille sfumature, il bianco, l’ocra, il marrone. Ci affondi dentro, ti fai portare da quella (la sabbia) più umida del mattino; sì perché a notte fonda la nebbia stende un velo sul quel paradiso e solo i primi raggi di sole la dileguano.

Ho negli occhi quei tramonti per i quali non trovo le parole e ho nella mente l’ultima notte: da solo, spento al punto da vedere qualsiasi forma nei cespugli che
macchiano ogni tanto il deserto, lucidità a livello zero, mi butto con il sacco a pelo su una duna, senza curarmi della solitudine, del buio, del silenzio, degli
animali, che in cuor mio confido dormano. Forse due ore e mi svegliano i compagni di avventura che sopraggiungono.

Rimetto la frontale ma ancora per poco più di un’ora. La luce mi dà nuova linfa e la voglia di finire è troppa: arrivo al penultimo CP per prendere un caffè, svuotare
per l’ennesima volta le scarpe piene di sabbia e riparto.E corro…cammino…corro: quasi mi sorprendo di questa ritornata energia!

Manca poco in km, ma le distanze sulla sabbia e con dune come colline le devi rapportare ad altro: l’antenna che guarda sulla spiaggia di fine corsa la vedo…è lì, ma non la raggiungo prima di un’ora e mezza!.

Finalmente il mare, la Imlil Beach, le tende e gli amici con cui ho condiviso i tanti momenti delle 85 ore impiegate per arrivare ad alzare le braccia al cielo.
Il risultato e la posizione sono relativi…ci penserò un’altra volta (per la cronaca, Gianfranco ha chiuso in un lusinghiero nono posto assoluto e primo di categoria, ndr).

Le emozioni, i pensieri, le sensazioni che ho vissuto sono il premio che ho guadagnato; questo è tutto mio ed è così difficile da descrivere. Certo che di chiacchierate tra me e me, di riflessioni, di preghiere ne ho fatte ogni giorno, ogni ora…Concludo prendendo ancora a riferimento le parole di Luisa: “Per chi pensa che una gara di 300 km sia priva di suspence, noiosa, insignificante, lenta sino allo sfinimento…beh si sbaglia!” Di mio aggiungo questo: i limiti così come le paure stanno solo dentro noi stessi, non al di fuori…e ahimè penso già alla prossima, perché è certo che verrà: e sarà “piede destro piede sinistro piede destro piede sinistro…da ripetere per 85 ore”

g.t./s.c.