Paolo Rosso: ‘’La mia Parigi-Roubaix…”

15 aprile 2016 | 07:53
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Paolo Rosso: ‘’La mia Parigi-Roubaix…”

Stavolta ci siamo! Anni a pensare a quanto sarebbe stato bello andare alla Roubaix, alla foresta di Arenberg magari e finalmente rompiamo gli indugi. Giovedì si parte in camper con Luca, Giovanni, Antonio e Alberto.

Notte in Alsazia in una Riquewhir bellissima nel suo silenzio notturno e venerdì all’alba si riparte direzione Roubaix. Nel pomeriggio siamo al Velodrome. Ci sono stato nell’agosto 2011 in “pellegrinaggio”, ma è un’emozione tornarci ora che si respira aria di evento e capisco benissimo i miei compagni di viaggio che sono qui per la prima volta. Siamo come bambini al luna park. Ritiro pettorale, birra alla Club House “Aupavè” (quale altro nome se no per il Velo Club Roubaix?) un’occhiata alla bici e si pensa già a domani. Io farò il lungo da 172 km che prevede 27 settori di pavè, gli stessi che affronteranno i professionisti la domenica; questo vorrà dire sveglia alle 3 per partire con il bus alle 5 direzione Busigny dove e prevista la partenza. Meglio andare a nanna presto. Le 3 arrivano in un attimo.

Colazione, vestizione e si va verso i bus. Il mio è il numero 5. Ciclisti che arrivano nel buio con le lucine accese, aria di randonnèe notturna quasi familiare. Si caricano le bici e alle 5.30 si parte. Sul bus nessuno fiata, anche tra i piccoli gruppi di amici che solitamente prima del via di una corsa scherzano tra loro: rispetto (timore?) per le pietre che ci aspettano. Si prova a dormicchiare un po’ e la musica di sottofondo quasi aiuta, ma l’adrenalina sale.

Ore 7.30 è chiaro ormai e siamo a Busigny. Aspetto che mi scarichino la bici (è l’ultima del mio bus): non ho fretta, ma freddo e voglia di partire, efinalmente si va. Tempo di muoversi e dopo 13 km arriva il primo secteur di pavè (settore 27)Troisvilles a Inchy***, 2,2 km e 3 stelle. Ogni tratto è preceduto da un cartello che indica la lunghezza e la difficoltà del settore, da 2 a 5 stelle. Qui però non si tratta di ristoranti e le 5 stelle più che il languorino mettono i brividi. Essere stato tre volte al Giro delle Fiandre mi aiuta perché pur non avendo un fisico proprio “da Roubaix” ho capito (credo) come poter pedalare sul pavè del nord senza doversi mettere a piangere. Ripenso alla mia prima volta al Fiandre sul Vecchio Kwaremont e a come rimbalzavo come una pallina e mi viene da sorridere.

Adesso è un’altra musica ed è quasi divertente, lo penserò solo fino alla Foresta. Intanto passa anche Viesly à Quiévy*** (1,8 km, 3 stelle), ma la bici vibra un po’ troppo, rumori strani. Nonostante tuttii controlli prima del via sto perdendo il porta borraccia; l’esperienza Fiandre serve e ho con me le brugole necessarie. Mi fermo sistemo e riparto per il settore di Quiévy à Saint-Python****, 3,7 km e 4 stelle, mamma mia se è lungo. Il portaborracce appena sistemato non avrebbe potuto avere test migliore e per fortuna non si muove più. All’uscita di ogni settore, rientrando sull’asfalto sembra di ritrovarsi su un tappeto di velluto. La mani fanno male anche se si impugna poco (è utile lasciare che il manubrio vibri un po’ senza stringerlo troppo) e capisco subito che oltre alla tenuta di gambe saranno proprio le mani la difficoltà di giornata. Serve muoverle ad ogni uscita dal pavè, vanno conservate in buono stato. Al termine di ogni settore un cartello segnala i km mancanti a quello successivo e così i tratti si susseguono veloci: Saint-Python **(1,5 km), Vertain à Saint-Martin surEcaillon *** (2,5 km) e Capelle à Ruesnes ***, precedono il rifornimento del km 50.

Riempo la borraccia, mangio qualcosa e via si va con un pensiero fisso in testa: la foresta di Arenberg, la troverò al km77. Provo a non pensarci. Mancano ancora tre settori e non sono così facili: Quérénaing à Maing *** (2,5 km), Maing à Monchaux-sur-Ecaillon *** (1,6 km) e soprattutto Haveluy à Wallers ****(2,5 km), un bel 4 stelle niente male.E così ridendo e scherzando mi ritrovo a cogliere sullo sfondo le torri della Miniera di Arenberg. Alzo gli occhi e la riconosco: foresta di Arenberg, l’inferno del Nord, eccoti qui. Ci avevo passeggiato in mtb cinque anni fa ma con la bici da corsa è un altro sport. E’ bagnata, scivolosa, sconnessa in modo impressionante e con dei gradoni tra la schiena d’asino e il bordo strada di cui in tv non si ha la minima percezione, insomma è un casino. La mia idea di prenderla con coraggio e spingendo forte dura quel che dura, forse la prima parte che è in leggera discesa. Ma poi la strada sale e il problema diventa solo stare in piedi. La ruota slitta e do’ qualche scodata, i giri invernali nel fango con la bici da ciclocross mi aiutano a stare in piedi. Serve anche fortuna perché prima un ragazzo e poi un altro scivolano dal centro strada a finiscono a terra con la bici di traverso e io per evitarli sto in piedi per miracolo. E’ lunga e non finisce mai: e poi ormai ho battezzato il lato sinistro ed è davvero pessimo ma cambiarlo non è facile nel traffico. Inizio a vedere lo striscione che indica la fine. Sto uscendo dall’Inferno.

Ricordo come un anno sul Koppenberg altri ciclisti furono in grado i farmi cadere proprio dopo il muro perché provavano a ripartire dopo averlo fatto a piedi e così tengo viva la concentrazione per evitare che ricapiti. Esco dal caos senza aver dovuto sganciare un pedale, respiro di sollievo. Foresta andata!!! Ma davvero impressionante. Penso ai miei quattro soci che si sono cimentati sul percorso medio e per i quali la Foresta è stato il primo tratto affrontato (18 in tutto per loro). Che battesimo!! Chapeau a loro che dopo un esordio così non hanno girato la bici per rientrare verso la partenza.

Ci penso e sorrido e mi dico che da qui in avanti niente può essere peggio, anche se di tratti difficili ne mancano eccome. Il primo è Wallers à Hélesmes ***, detto anche Pont Gibus, tratto storico da 1,6 km ripristinato nel 2013, poi Hornaing à Wandignies ****, 3,7 km abbastanza eterni e Warlaing à Brillon *** 2,4 km. Ma reduci dalla Foresta di Arenberg ci si sente come sullo Stelvio dopo aver scalato lo Zoncolan; tutto diventa “facile”. E così anche Tilloy à Sars-et-Rosières **** , 2,4 km, un altro 4 stelle impegnativo scorre veloce e ci porta dritti al secondo ristoro di giornata. Mentre recupero due barrette sento una voce che mi chiama. E’ Giovanni: mi dice che sono arrivati lì tutti e quattro insieme ma nella confusione ritroviamo solo Antonio. Dopo una breve ricerca immaginiamo che Luca e Alberto siano già ripartiti. Oltre al piacere di percorrere un pezzo di strada insieme Antonio lamenta qualche problema col cambio e così decido di restare con lui e Giovanni per un po’. Meglio essere tranquilli di poter concludere bene. E si riparte a “ballare” dal settore 13: Beuvry-la-forêt à Orchies ***, 1,4 km, Orchies *** 1,7 km e Auchy-lez-Orchies à Bersée ****, 2,6 km ci portano dritti dritti ad un altro mostro sacro. E’ il miticoMons-en-Pévèle *****, 3 km, un altro 5 stelle. Lo affronto con curiosità; i timori svaniscono in fretta perché il centro strada non è poi così male e si può spingere e tenere un buon ritmo. Di sicuro abbiamo affrontato tratti con meno stelle ma messi molto peggio. Quasi mi cade un mito.

Due altri tratti più brevi Mérignies à Avelin ** 0,7 km e Pont-Thibaut à Ennevelin *** 1,4 km portano al terzo e ultimo ristoro di Templeuve, km 138. Il problema meccanico di Antonio intanto si è risolto e così dopo aver assaltato per bene il banco delle arance saluto i miei due amici e do’ loro l’appuntamento all’arrivo. Ormai mancano poco più di 40 km e sette settori di pavè e ho proprio voglia di godermeli. Si riparte con il caratteristico tratto di Templeuve – Moulin-de-Vertain **, soli 0,5 km di pavè pessimo ma con il bellissimo Mulino dalle pale rosse alle nostre spalle. Cysoing à Bourghelles *** 1,3 km e Bourghelles à Wannehain *** 1,1 km scorrono veloci. Ormai la confidenza è tanta e così si salta da un lato all’altro della strada cercando i tratti migliori. Ho voglia di spingere perché inizio a sentire profumo di arrivo e le gambe sono buone, non serve più tenersi del margine. Molto meno buonesono le mani che fanno male. Anche nei settori più brevi non si vede l’ora di uscirne per dare loro sollievo. Mi aiuto un po’ percorrendo ogni tanto qualche tratto sulla banchina laterale in terra. Lì le mani respirano ma bisogna stare attenti perché può essere pericoloso rientrare sul pavè. Ne ho visti un paio finire in terra per quello. Serve essere lucidi e concentrati e per ora lo sono. Anche perché sto per entrare nella storia di questa corsa, là dove spesso si decide tutto.

Siamo al km 151 e si entra in una sequenza di tre settori mitici: 5 km di pavè difficile in soli 7 km. Tratti di respiro davvero brevi. Settore 4: Camphin-en-Pévèle **** 1,8 km, bello tosto e subito dopo Carrefour de l’Arbre ***** 2,1 km, con la foresta il settore più noto e importante dell’Inferno del Nord. Il Carrefour…. Che sogno esser qua… Ripenso a Ballerini volare su queste pietre e ci entro carico come una molla, tanto che sarà mai? Anche Mons-en-Pévèle era un 5 stelle come questo eppure l’ho volato e invece… e invece scopro che le stelle stavolta sono strameritate. Con la foresta è il tratto più difficile: in piedi si sta senza problemi, ma le pietre sono sconnesse e si fa tanta fatica. Potrei appoggiarmi ogni tanto sulla banchina laterale, ma sono arrivato fin qui anche per provare cosa vuol dire fare il Carrefour e cosa provano i prof a pedalare qua sopra anche quando il tratto laterale è impedalabile (in caso di corsa bagnata è così) e quindi resto in centro strada. La difficoltà ulteriore è data dalla curva a 90° verso sinistra che si incontra a metà: si riparte quasi da fermi e perdere il ritmo e ripartire da fermi sul pavè è la cosa peggiore che può capitarti; soprattutto se appena svolti ti rendi conto che il vento adesso lo hai dritto in faccia. Pedalando qua sopra capisci perché poi può anche succedere che una corsa così venga vinta da un quasi carneade; succederà così con Hayman il giorno dopo e non ti sorprende troppo. Serve saper andare sulle pietre, e Hayman comunque ci sapeva andare visti i risultati fatti, ma tolta la prima parte ricca di leggeri saliscendi poi è davvero piatta e a ruota si sta bene e se c’è il vento che trovo adesso sul Carrefour chi prova a star davanti spende tanto ma tanto di più. La mani fanno male e avrei solo voglia di rifugiarmi sul bordo strada, ma ormai ho deciso che la faccio tutta dentro e non si cambia idea. Uscire dal Carrefour è una liberazione.

Curva a destra, 200 mt e svolta a sinistra per entrare nel settore 2 Gruson** 1,1 km, in pratica è un unico tratto di pavè con il Carrefour. Ho fatto trenta e farò trentuno restando sempre in centro strada: solo due stelle (forse per la lunghezza) ma è bruttino anche qui. Le mani urlano. Cambio presa sul manubrio, ma ormai non serve neanche quello. Provo a riprendere una buona pedalata per accelerare la fine dell’agonia come diceva Pantani per le salite e finalmente esco da Gruson. Sollievo. Ormai solo più 15 km all’arrivo ed è fatta. Mi infilo in un bel gruppetto, siamo una decina e si tira tutti. Farà sorridere ma trovarsi a girare in doppia fila ai 40 km/h alla fine di una Roubaix per me è poesia. Sensazione grandiosa. Nella testa rivedi le scodate alla foresta, l’ingresso a Pont Gibus, Mulin de Vertain, l’uscita dal Carrefour… Tra un cambio e l’altro è come ripercorrere negli occhi la strada fatta e nemmeno ti accorgi che stai pedalando sul settore 1 Willems à Hem **, 1,4 km l’ultimo dei 27 settori percorsi. Esci da lì e le pietre stavolta sono finite davvero. Si entra in Roubaix e si percorre il lungo viale alberato che tante volte ho visto in tv trepidando per Moser, Ballerini, Tafi o Ballan (che però contrariamente agli altri non l’ha mai vinta). Si svolta a destra, semicurva a sinistra e di nuovo a destra per entrare nel Velodromo. “L’Enferdu Nord mène au Paradis” (l’Inferno del Nord porta al Paradiso) la scritta che campeggia.

Il Velodrome di Roubaix, liscio come l’olio, con le sue paraboliche impressionanti (altra cosa impercettibile in tv)è la storia di questo sport e adesso ci siamo dentro in sella alla nostra bici, con le ruote che calpestano la stessa strada che dal 1896 tanti ciclisti hanno percorso portando i loro sogni a scontrarsi con queste pietre. Una corsa affascinante, unica, incredibile e imperdibile per chi ama il ciclismo. Taglio il traguardo sotto la tribuna con un sorriso. Che sensazione! Adesso quella scritta la capisco anch’io… “L’Enferdu Nord MèneauParadis”…..

Paolo Rosso